giovedì 30 gennaio 2014

Sierra de Gata


La scoperta dell’Extremadura rurale passa soprattutto per la zona a nord al confine con la Castilla y Leon. Questo margine è contrassegnato da montagne non troppo elevate, ma che rendono lo scenario crespo e costellato da valli spesso impervie.
Non è tanto il dislivello tra le valli e le cime a fare di questa zona una regione fredda, quanto l’innalzarsi dell’altipiano che nella Castillia raggiunge una quota media sopra i mille metri sopra il livello del mare.

Queste comarcas sono punteggiate da numerosi paesi che spesso conservano la struttura medievale e le costruzioni d’epoca. Fanno ancora sfoggio di sé vecchie case con tralicciatura esterna, con travi di legno ed interstizi riempiti da pietrisco, il tutto stuccato e livellato con calce bianca.
Le piccole aperture ed i soffitti bassi manifestano la dura lotta contro il pungente freddo invernale.

Nella parte più occidentale di questa sierra, che prende il nome di Sierra de Gata, vivono silenziosamente alcuni paesetti tipici come San Martìn de Trevejo, Acebo, Eljas e Valverde de Fresno. 


Questa regione è l’unica rimasta dove si parla ancora una specie di dialetto in via di estinzione; più che un dialetto il Chapurriau è una lingua a parte, fatta dall’unione di portoghese, il confine è a pochi chilometri, e lo stentato spagnolo rurale. La guida che ho in mano assicura che tale lingua è del tutto incomprensibile sia per gli spagnoli che per i portoghesi.
Tutti questi paesi crescono intorno ad una piazza principale che è il punto di ritrovo di tutta la comunità, case in pietra e legno si attaccano le une alle altre come a voler conservare il prezioso calore dei focolai domestici.


Tre sono le peculiarità di questa zona che mi sono rimaste impresse: la prima è propria dell’architettura di queste zona, i balconi aperti o spesso murati che dal primo piano delle case si affacciano sulle vie fin quasi a far toccare le case sui due lati della strada. 
Altra particolarità di questi luoghi è l'avvallamento che divide in due corsie precise tutte le strade principali dei paesi, su questo solco scorre un vigoroso ruscello d’acqua montana, fredda e limpida fino ad attraversare tutto il paese.
Ultimo, ma di non minore interesse, lo speciale agnello alla griglia  in un piccolo ristorante di San Martin de Trevejo, la sala da pranzo è stata ricavata in quello che era il fondo di una casa, arredamento semplice con tovaglie a quadri e durissime sedie di legno e l’agnello più buono che ho mai mangiato.
!
La gioiosa atmosfera estiva è dovuta al notevole aumento di popolazione che questi paesi subiscono in estate; località disabitate in inverno, si animano grazie all’afflusso di villeggianti dalle più grandi città limitrofe dove c’è lavoro, ma poca tranquillità.
Risalendo la sierra de Gata verso oriente si arriva alla zona di Las Hurdes; non che differisca molto dalla zona occidentale, ma in queste zone, durante il periodo dell’Inquisizione, vennero bruciate tante donne con l’accusa di stregoneria. Oggi le valli silenziose vegliano su tante vite distrutte, ma le case vecchie dei piccoli borghi appesi sulle coste di valli scoscese conservano ancora qualcosa di sinistro. “Non è delle streghe che temo il giudizio, ma di chi si ostina a guardare con gli occhi degli altri”.



Poco sopra la sierra de Gata si arriva alla Peña de Francia, sarebbe fuori luogo parlarne in questo resoconto sull’Extremadura poiché si trova poco oltre il confine con la Castilla y Leon, ma è talmente simile come caratteri che non stona di sicuro.




La zona della Peña de Francia è arroccata sotto un picco che, questo sì, risalta sul panorama circostante per la quota che raggiunge. In cima, a quasi 2.000 metri c’è un monastero domenicano in stile bizantino immerso nell’area protetta di Las Batuecas e meta di numerosi “centauri” che si dilettano nella guida su per gli infiniti tornanti fino alla cima.


Il panorama spettacolare, che si gode dalla sommità, spazia a nord fino a Salamanca e tutt’intorno per molti chilometri, in un area coperta di boschi e numerosi paesi nascosti tra le infinite valli che la prospettiva rende minuscole.


Nell’intorno de Las Batuecas mi interessa vedere soprattutto le pitture rupestri datate al 6.000 a.C. e un ansa che il fiume Algon compie fin quasi a richiudersi su se stessa. Quello che mi aspetta è una giornata intera immerso nella natura, camminando o semplicemente contemplando quello che sono andato a cercare.

La camminata per raggiungere le pitture rupestri è faticosa dato il sentiero poco battuto; si arriva con la macchina fin fuori ad un convento chiuso al pubblico e che, proprio per questo, sembra molto affascinante. Un monastero in cui la vita pulsa tramite il ragliare di un asinello legato all’ingresso e del rumore di galline dentro il cortile.



Il sentiero che costeggia il ruscello è deserto, silenzioso se non fosse per l’acqua che scorre e il canto degli uccelli; ci sorprendono solo alcuni raccoglitori di sughero che, dopo aver caricato il loro mulo al massimo delle sue capacità, stanno riscendendo a valle.
D’un tratto dei segnali indicano che per le pitture c’è da salire in alto sulla costa e, faticosamente, riusciamo a raggiungerle. Il sito è strepitoso, inferriate arrugginite proteggono i segni antropomorfi dai vandali che hanno già pesantemente contaminato le opere millenarie; la valle, da questo sperone di roccia appare viva solo per la luce che la irradia e per il lontano scrosciare dell’acqua sulle rocce. L’assoluta serenità che investe chi, con fatica, è arrivato fin qui, è la più grande ricompensa. 
Sulla roccia le rudimentali forme di animali e di cacciatori con le loro armi vegliano sulla natura circostante ed il silenzio è il loro grido più assordante. Qui non è passata la storia, qui è passato l’Uomo.

Ridiscendo la valle e dopo il congedo dal monastero vado a cercarmi un'altra opera dove la mano dell’uomo ha potuto poco, ma dove la natura (o Dio, dipende dai punti di vista) ha compiuto un vero e proprio capolavoro. Scendendo velocemente a valle da queste montagne scoscese, il fiume Algon si trova a dover dissipare molta energia cinetica; la tecnica che il fiume utilizza, si costituisce di due fasi: scavando nei fianchi delle colline che ne delimitano il percorso e costruendo un tragitto sinuoso, più strada percorre il fiume e maggiore è lo spazio da utilizzare per dissipare tale energia.
Il teatro naturale scavato in migliaia di anni ha reso questo scenario un vero e proprio monumento della natura, la vista è spettacolare.
I dintorni della Peña de Francia sono costellati di paesi che conservano geometrie e architettura delle origini, tra tutti spicca La Alberca, tipico paesino di montagna con case dai balconi e dai tetti in legno, la piazza principale piena di villeggianti e buoni ristoranti.

giovedì 23 gennaio 2014

Teruel - La città "Mudejar"



Teruel era una meta che già da diverso tempo avevo in cima ai "luoghi da visitare" in Spagna, proprio per questo particolare stile architettonico. Arrivato a Teruel, però, ho scoperto molto di più.

Teruel è la seconda città aragonese per dimensioni ed è situata all'estremo sud della regione.
Da qualche parte ho letto che questa piccola città non  ha seguito il resto di Spagna nello sviluppo post dittatura, ma ora si sta svegliando accingendosi a diventare un centro molto attivo sia come cittadina piena di vita, ma anche dal punto di vista culturale.

Teruel è considerata la città "Mudejar" per eccellenza tanto che nel 1986 gli è stato conferito il riconoscimento da parte dell'UNESCO come patrimonio mondiale dell'umanità.

Il mudejar è uno stile architettonico peculiare di questa regione spagnola. Si sviluppò subito dopo la Reconquista del 1492 grazie al fatto che le autorità ecclesiastiche e le famiglie nobili della nuova cattolicissima Spagna, non immuni al fascino delle meraviglie architettoniche che secoli di dominazione musulmana avevano lasciato, decisero di avvalersi di questi esperti artigiani. La contropartita fu concedergli di poter vivere tranquillamente nella regione mantenendo il proprio culto e le proprie usanze.

Il particolare stile che ne uscì fuori, qui a Teruel, si manifesta soprattutto in cinque torri che caratterizzano il profilo della città, una cattedrale per certi versi unica ed alcune opere idriche rilevanti arrivate fino ai giorni nostri.

Questa convivenza tra cristiani e musulmani già dall'antichità, ma anche in tempi moderni, ha riconosciuto all'Aragona una fama meritata di regione molto tollerante. L'ultima moschea venne chiusa, per mano dell'Inquisizione, diversi anni dopo che la Spagna era tornata violentemente cattolica.

Il Mudejar si presenta con elaborate decorazioni a rilievo create con mattoni rossi, elemento principale per la costruzione degli edifici. Il tutto è decorato con mattoni smaltati e colorati a comporre elaborati disegni tipici della cultura islamica.
La massima espressione si ha nelle 5 torri che spiccano su tutto, 4 di queste sono i campanili di altrettante chiese e, generalmente, le torri vengono attraversate da una strada.

La loro decorazione inconfondibile le rende estremamente visibili da ogni angolo della città. Il colpo d'occhio è molto affascinante ed entrare al dentro delle tecniche di costruzione rende reale il contatto con una cultura, ahimè, ormai estinta.

La torre del Salvador permette una simile scoperta dato che, in ogni sala ricavata nella torre, trova posto una esposizione sulla particolare tecnica di costruzione. Si tratta essenzialmente di due torri concentriche a base quadrata; nell'intercapedine tra le due torri è stata ricavata una stretta scalinata che, salendo a spirale, arriva fino al campanile.
Un interessante video proiettato nella torre ripercorre brevemente la storia della città, concentrandosi sulla leggenda della costruzione di due delle torri più belle, questa del Salvatore e quella di San Martin.
Questa leggenda riguarda una bella fanciulla da dare in sposa al migliore artigiano della città; la sfida riguardava la costruzione della torre più bella. Alla fine la torre di San Martin era leggermente inclinata, infatti alla base sono stati posti dei rinforzi per evitarne il crollo, e la fanciulla venne data in sposa all'artigiano che costruì la torre del Salvador.

Questa leggenda di due innamorati non è famosa come altre con più tragici destini (se escludiamo la tragedia di essere data in sposa ad un artigiano solo per la sua arte, ma pare che la fanciulla fosse interessata ai due in egual maniera). Ci sarebbe la storia d'amore tra Tristano e Isotta, tra Romeo e Giulietta… e tra Isabel de Segura e Juan Martinez de Marcilla, conosciuti come "Gli amanti di Teruel".

Anche qui trova posto una leggenda che parla dei due innamorati, lui di umili origini e lei ricca e bellissima.

Vista l'impossibilità di unire due persone di rango tanto diverso, Juan Martinez si arruolò nell'esercito in cerca di fortuna. Al suo ritorno, poco dopo lo scadere dell'ultimatum, Isabel, credendolo morto e cedendo alle insistenze del padre, si era sposata con un altro uomo. Al ritorno  Juan Martinez, con una posizione acquisita e del denaro guadagnato, si scontrò con la nuova realtà e morì di dolore. Al funerale di Juan Martìnez, una donna con il volto coperto da un velo si avvicinò al corpo esanime; era Isabel che lo baciò e morì abbracciata al suo amante.



La leggenda è supportata da due corpi mummificati ritrovati sepolti nel 1555 ed il presunto ritrovamento di un documento che racconterebbe la storia.







A Teruel è stato creato un vero e proprio mausoleo dei due amanti dove viene narrata la storia mediante testi ed opere famose a riguardo. Il clou del museo è la cappella dove i sarcofagi in alabastro custodiscono le spoglie di Isabel e Juan. La particolarità dei sarcofagi sono le mani dei due amanti che sporgono a volersi toccare, ma che non arrivano a tanto "La fredda serenità degli amanti, le cui mani non arrivano a unirsi, è simbolo di un amore che travalica i concetti umani".

La cosa più interessante del museo, a mio avviso, è il breve video introduttivo che, spiegando la storia dei due amanti, mette in evidenza le varie tappe che Teruel ha attraversato dal passato fino ai giorni nostri, il tutto supportato da immagini e filmati d'epoca.

Insieme al museo è possibile visitare l'adiacente Iglesia de San Pedro, altra testimonianza dell'arte Mudejar e con un'unica navata decorata con affreschi, colori e dipinti che rendono l'insieme molto d'effetto.


Un'altra testimonianza notevole dell'arte Mudejar a Teruel è la cattedrale di Santa Maria di Mediavilla.
A caratterizzarla, oltre la consueta torre, anche una cupola molto elaborata in tipico stile Mudejar ed un soffitto a cassettoni originale.
Il particolare soffitto è chiamato "techumbre" ed è considerato la "cappella Sistina dell'arte Mudejar".
Non mi sembra un accostamento azzardato proprio per il fatto che non si paragona la portata artistica dell'opera se non il fatto che il soffitto rappresenti, con i sui disegni e le sue decorazioni, uno spaccato della società e della cultura dell'epoca.
La sua conservazione è stata del tutto fortuita in quanto, cacciati definitivamente gli arabi dalla Spagna, venne ricoperto per nascondere i motivi ornamentali tipici dell'arte islamica e venne dimenticato finché dei lavori di restauro intrapresi nel secolo scorso non lo scoprirono intatto.

Dal basso della navata, le decorazioni sembrano i classici motivi geometrici che caratterizzano l'arte islamica non solo in Spagna. Salendo fino al balcone, proprio sotto al soffitto, è possibile scoprire tutto un universo di figure che rappresentano personaggi dell'epoca, scene di caccia e scene della vita di Cristo.
Non mancano piccole rivincite che gli artigiani mussulmani si son presi contro una religione diversa dalla loro.


La Cattedrale, le torri di San Martìn e del Salvador e la torre e la chiesa di San Pedro sono valse per Teruel il riconoscimento di partimonio mondiale dell'umanità.

La città di Teruel, in se, è molto interessante.
La parte storica della città si sviluppa intorno alla piazza cuneiforme "del Toril". La piazza prende il nome dal piccolo toro issato sulla colonna che domina la piazza.
Tutto il centro è costantemente frequento, almeno nelle ore classiche "del passeggio", da una moltitudine di persone che affollano i numerosi locali intrattenendosi, bevendo e mangiando tapas; vero must per ogni locale della zona.
Ho già parlato delle notti di baldoria che si concludono solo all'alba ("Una notte alla Fonda") e della miriade di persone che vi partecipa. Gente adulta e molto giovane. Coppie e gruppi di amici compongono una folla chiassosa senza diventare mai molesta. Ricordo alle 7 di mattina un signore sotto la mia finestra che, chiaramente ubriaco, faceva le più svariate domande al suo gruppo di amici e non mancava di rispondersi "OOOKKEYYYYYY"!!! La scena è durata almeno mezz'ora non mancando di suscitare l'ilarità mia e dei suoi amici.

La velocidad de la luz

<<“Esperé a Jenny en el salón, curioseando entre los CD que se alineaban en una pirámide de aluminio junto al equipo de música. La mayoría eran de rock and roll, varios de Bob Dylan. Entre ellos figuraba Bringing it all back home, un disco que contenía una canción que yo conocía bien: It’s all right, ma (I’m only bleeding). Con el disco en las manos empecé a escuchar en mi cabeza aquella canción sin consuelo que sin embargo nunca dejaba de devolverle a Rodney el júbilo intacto de su juventud, y de repente, mientras aguardando a Jenny recordaba con igual precisión tanto su letra como su música, tuve la certeza de que en el fondo esa canción no hablaba más que de Rodney, de la vida cancelada de Rodney, porque hablaba de palabras desilusionadas que ladran como balas y de cementerios abarrotados de dioses falsos y de gente solitaria que llora y tiene miedo y vive en un pozo sabiendo que todo es mentira y que ha comprendido demasiado pronto que no merece la pena tratar de entender, porque hablaba de todo eso y sobre todo de que quien no está ocupado en morir está ocupado en vivir”>>

(Javier Cercas, La velocidad de la luz)

sabato 18 gennaio 2014

Mérida, l'antica Roma in Extremadura

Proseguendo verso sud si arriva a Mérida, l’ Augusta  Emerita dei romani, Ia città fu fondata nel 25a.C. per i legionari romani che avevano svolto le campagne in Cantabria. Mérida divenne presto la capitale della Lusitania sia dal punto di vista politico che culturale con oltre 40.000 abitanti. Oggi è la città spagnola che conserva i migliori reperti di quell'epoca.




Il teatro e l’anfiteatro affiancati sono effettivamente fantastici. Qualcosa di unico è rappresentato dal doppio colonnato originale, utilizzato tuttora come scenografia del teatro dove una statua di Cerere si erge ad assoluta protagonista di ogni rappresentazione.
Passeggiando per la città, s’incontra il tempio a Diana; intatto nel suo imponente colonnato e gli scavi di una villa (Casa de Mitreo) con un bellissimo mosaico cosmologico, i colori dei tasselli sono talmente vivi da farlo sembrare anacronistico, totalmente fuori sintonia con il resto delle seppur grandiose rovine.
 
Un altro pezzo forte della città è il Museo di Arte Romana, un' architettura semplice racchiude dei tesori che, posti in questa cornice, risaltano magnificamente. 
 



Le mura del museo sono in mattoni rossi con fughe a vista, nella fitta trama creata sono inseriti reperti in marmo come colonne, capitelli, statue, busti o semplici teste che giochi di luce fanno risaltare intensamente sul semplice sfondo di mattoni.
 Nota polemica: se in Italia riuscissimo a valorizzare in questo modo il nostro patrimonio, potremmo vivere di solo turismo.
Il resto della città vive degli scorci creati da parti originali di antiche mura o dall’acquedotto poco fuori il centro; un arco celebrativo tra due palazzi, in stile tipicamente spagnolo e piazze in cui diversi espedienti cercano di sottrarre la gente dal chiuso delle case , rendono la città molto piacevole.

Buona parte del centro è, infatti, irrorato con getti di vapore che rinfrescano la calura di agosto e chioschi all’ombra di tettoie, promettono refrigerio con aperitivi e stuzzichini invitanti. 

Una ‘Ruta de Tapas’ aiuta a intraprendere un percorso gastronomico per le vie alla scoperta di un’usanza tipica spagnola, accompagnare un buon bicchiere di vino o birra con assaggi vari chiamati, appunto, Tapas.
Un'altra particolarità che distingue Mérida e gran parte dell’Extremadura sono gli immensi nidi sui tetti delle case, qui nidificano le cicogne e lo schiocco caratteristico conferma che le gradevoli serate extremeñe si animeranno anche della compagnia di questi grandi uccelli.
Da Mérida a Zafra la strada corre da nord a sud in una regione di vigneti, coltivazione che, come detto, sono un’ eredità di Roma. Il terreno fertile, la non poca acqua e il sole battente hanno permesso lo sviluppo di vitigni tipici di questa regione. Si trovano vini rossi corposi e dal sapore fruttato come Trincadera, Tempranillo ecc.. con prezzi molto abbordabili. La città fulcro della produzione di vino è Almendralejo, ma non essendo inclusa nel mio tragitto la penserò ogni volta che mi capiterà di bere dell’ottimo vino di queste terre; l’occasione non mi è mancata di certo.

mercoledì 15 gennaio 2014

Saragozza


Quando si progetta un viaggio in Spagna non si pensa immediatamente all'Aragona.
L'Aragona è una delle regioni che stanno un po' ai margini, non è la Catalunia di Barcellona, l'Andalusia di Siviglia, Cordoba e Granada. Non è la Castiglia con Salamanca o Madrid, la capitale.
L'Aragona, però, forse più di altre regioni spagnole, ebbe un ruolo importante nella storia della nazione. Dal matrimonio tra Ferdinando d'Aragona e Isabella di Castiglia si ebbe l'unione di due importanti regni e iniziò il periodo della "reconquista" contro i mori, era il 1479.
Ancor prima l'Aragona era un governo indipendente che, a partire dal 1035, si espanse fino ad annettere l'attuale Catalunia, le isole Baleari, Valencia, la Sicilia, Napoli e la Sardegna. In alcuni periodi il regno si estendeva fino in Provenza, Linguadoca e perfino Atene.

Saragozza è il capoluogo della provincia aragonese; una città non troppo conosciuta e, nonostante lo sviluppo industriale e il recente Expo (svoltosi nel 2008) che l'hanno resa una città moderna e appetibile al turismo, vanta comunque un passato importante.







Fu fondata dai romani nel 25 a.c. con il nome di Cesaraugusta (da cui deriva il nome Saragozza) ed in breve tempo diventò una città prospera e molto abitata. Di importanza strategica fu il commercio sviluppato grazie al Rio Ebro, fiume tra i più grandi di Spagna e navigabile fino allo sbocco nel Mediterraneo che le permise costanti ed abbondanti scambi con il resto dell'impero.
In pieno centro si possono visitare interessanti musei che riguardano Cesaraugusta. Il punto di partenza credo debba essere il Museo del Foro Romano, i cui scavi si trovano ad alcuni metri sotto il livello della Plaza de la Seo, in pieno centro.
L'edificio del museo occupa una parte dell'enorme piazza, la sua imponente mole oscura, in parte, la facciata della Cattedrale del Salvatore (la Seo, appunto), ma questo non toglie nulla al fascino della piazza. La struttura, anzi, pone l'accento sulla Storia della città presentandosi come un cuneo di alabastro bianco a sfumature rosso scuro e che segna il punto in cui si trovava l'antico foro romano.
Nel museo è messo in evidenza il geniale sistema di canalizzazione dell'acqua piovana che, mediante canali comunicanti, veniva riversata nel fiume. Subito nelle vicinanze del foro erano ricavate diverse strutture commerciali per la vendita delle mercanzie che risalivano dal Mediterraneo fino a Cesaraugusta.
Nonostante tutto, il pezzo forte del museo è un interessante filmato con efficaci ricostruzioni della città e del foro così come si presentava più di duemila anni fa.

A poca distanza del Museo del Foro si trova il piccolo Museo del porto fluviale, vero fulcro dei commerci della città, e, poco più distante, il bel Museo del Teatro Romano. I plastici e le parti restaurate rendono l'idea di che tipo di struttura fosse il teatro, capace di contenere diverse migliaia di persone sui tre ordini di spalti di cui disponeva.






I resti romani sparsi nella città sono poca cosa rispetto a molte città italiane, ma il modo in cui vengono valorizzati, mediante musei, mostre e proiezione di materiale audiovisivo, li rendono un'attrazione degna di visita. 

Sotto la dominazione araba, Saragozza fu uno degli avamposti al confine del regno di Al-Andaluz. Tale dominio durò fino al 1118 quando cadde nelle mani di Alfonso I che ne fece la capitale del nuovo regno di Aragona, regno in rapida espansione.









Di epoca araba è rimasto un interessante palazzo a poca distanza dal centro. Si tratta dell'Aljaferìa, residenza di piacere per i governanti mussulmani della regione.
La costruzione è datata intorno al XI secolo e nel XII secolo, dopo che era iniziata la Reconquista, venne ampliata anche da Ferdinando ed Isabella che la utilizzarono come reggia.
Il palazzo dell'Aljaferìa è stato ristrutturato nella seconda metà del XX secolo ed in gran parte ricostruito viste le penose condizioni in cui si trovava ed i saccheggi subiti nel corso dei secoli.
Il patio centrale è decorato con elaborati archi in gesso che dimostrano ancora una volta l'amore degli architetti arabi per le geometrie.
Di originale è rimasto ben poco, ma l'Aljaferìa è comunque il miglior esempio di arte islamica in Spagna al di fuori dell'Andalusia.

 
In tempi più recenti, dopo la Reconquista, Saragozza si sviluppò intorno al vecchio insediamento. Il centro è tutto arroccato a sud di Plaza de la Seo, dominata dalla cattedrale del Pilar. Qui, secondo la leggenda, San Giacomo ebbe la visione della Madonna sopra una colonna, un pilar appunto; il pilastro dell'apparizione viene oggi venerato dai pellegrini e dai devoti nella Capilla Santa.
Tutta la basilica è un complicato insieme di decorazioni barocche che rendono l'insieme un po' pesante, cupo per alcuni. Quello che più colpisce, oltre la Capilla Santa stipata di devoti alla Madonna del Pilar, è l'elaborata pala d'altare in alabastro bianco, un vero capolavoro.



Dall'esterno la basilica ha un aspetto imponente, ma nello stesso tempo "leggero" grazie a 4 altissimi campanili che la slanciano verso l'alto e 7 cupole che le danno un aspetto "orientale". Il profilo è inconfondibile da qualunque punto della città.

Sulla stessa bellissima piazza, semi-nascosto dal Museo del Foro Romano, trova posto anche la cattedrale del Salvatore, la Seo. Questa cattedrale fu costruita tra il XII e il XVII secolo, tutto il tempo trascorso ha fatto sì che diversi stili si alternassero durante la costruzione, dal romanico al gotico fino al barocco.

La facciata che dà sulla piazza è un bellissimo esempio di barocco, ma il lato opposto si presenta con la tipica architettura mudejar (ne parlerò più avanti), un' alternanza di mattoni rossi e piastrelle colorate a formare delle decorazioni molto elaborate.

Anche l'interno è spettacolare, numerose cappelle decorate con gli stili più diversi compongono un insieme che ne fanno la vera cattedrale di Saragozza.


Un po' fuori dal centro si trova la zona dell'Expo 2008, arrivarci dal centro è una bella camminata, ma ne vale la pena. Il percorso è facilitato da piste riservate a pedoni e ciclisti; queste piste sono sviluppate in gran parte del centro storico, ma si spingono anche più lontano. L'"anello verde" è un progetto di miglioramento dell'area urbana in cui vengono piantati alberi autoctoni ed i vari percorsi sono attrezzati per fare sport e passeggiate in un ambiente "verde".
Tutta la zona che costeggia il Rio Ebro e che conduce all'area Expo è stata riqualificata in questo senso; il percorso è affollato di ciclisti e podisti, ma anche canoe e kayak che salgono e scendono dal Ebro.

Arrivare alla zona dell'Expo dà la stessa sensazione che una trasmissione tenta di riprodurre sullo schermo. Come sarà la terra dopo che l'uomo si sarà estinto. Qui siamo a "un anno dopo la scomparsa dell'uomo". Il paesaggio è surreale, diverse strutture con architetture innovative, colorazioni pastello che conferiscono luminosità alla zona. Grandi piazze con fontane e strutture ombreggianti…. tutto lasciato al giudizio del tempo che scorre. Zone verdi incolte, aree transennate per parti danneggiate e pochi edifici ancora attivi o riadattati ad altri usi.

Ancora attivo è l'acquario, si tratta di un enorme edificio che riproduce vari habitat di flora e fauna fluviale. Dal Mekong al Rio delle Amazzoni, dal Mississipi al… Rio Ebro. Bellissima la vasca che ospita enormi Arapaima, pesci tipici del sud America ed a rischio estinzione per la prelibatezza della carne.






Ci sono poche eccezioni oltre i pesci fluviali, tra queste una coppia di pesci pagliaccio (con il loro anemone) e un pesce chirurgo a riformare il trio del film "alla ricerca di Nemo". Il piccolo Nemo, suo padre e Dori.


Per il resto Saragozza è una città molto tranquilla, ne sono testimonianza le migliaia di persone che affollano il centro nelle ore serali e che si concentrano  nella zona di "el tubo" per gran parte della notte.
El tubo è in intricato labirinto di viuzze e vicoli a ridosso del centro e che è animato da centinaia di locali in cui si possono gustare tapas elaborate e bere vino, sangria o birra.

La tradizione delle tapas è molto viva tanto che è stato istituito un concorso in cui vengono premiati i migliori locali al riguardo. Per quanto mi riguarda ho provato moltissimi tipi diversi di tapas e, onestamente, non saprei scegliere il migliore; tutti molto particolari e, a volte, saporiti.
Anche per quanto riguarda i ristoranti, la città non si fa mancare nulla. Ovviamente prevalgono quelli che fanno cucina spagnola, aragonese soprattutto. Il piatto tipico della regione sono le "migas", si tratta di mollica di pane cucinata con uova, prosciutto e spezie ma, anche per questo piatto, esistono molte varianti.